ANNUNCIO AI LETTORI
I lettori del Manuale potranno beneficiare di uno sconto del 5% per l’iscrizione dei loro figli alla scuola Stornamer. Fondata da Anton Stornamer*, la scuola applica scrupolosamente i principi educativi della Pedagogia Ornamentale, nel tentativo di plasmare i fanciulli fin dalla primissima età, per poi seguirne lo sviluppo fino ai 18 anni. Esistono, vero, altre realtà simili (ad esempio la scuola Steiner), eppure tutte queste hanno mostrato negli anni la loro inefficacia e la loro incapacità di produrre risultati tangibili, soprattutto se si considera il costo tutt’altro che democratico.
Alla scuola Stornamer grande importanza viene data al contatto del bambino con la natura. Non ci si limiterà infatti a brevi passeggiate nei boschi e giochi all’aperto: i bambini verranno invece abbandonati a turno sul ghiacciaio Presena. Avranno a disposizione tre pacchetti di cracker ai cereali, un paio di forbici di plastica per difendersi dai lupi e una cartina della Bolivia. Dopo 28 giorni un elicottero passa a riprenderli. In questo modo imparano molto di più che stando chini otto ore sul banco, e anche la schiena ne giova grandemente. Imparano cos’è un ghiacciaio, imparano le abitudini dei predatori notturni, imparano che la natura non sempre sa perdonare. E soprattutto imparano dov’è la Bolivia.
La scuola Stornamer abitua i bambini a relazionarsi con i loro coetanei fin dall’età prescolare. Le classi dell’asilo non sono dunque divise per colori (classe verde, classe blu…), né per età (piccoli, mezzani, grandi…), bensì la divisione in classi è di tipo feudale. Re – feudatario – vassalli – contadini – schiavi – animali da traino. Le assegnazioni sono del tutto casuali, dunque nessuno le taccerà di scorrettezza politica. È interessante osservare come le dinamiche sociali all’interno della scuola si sviluppino in maniera, alle volte, imprevista. Capita che, durante l’ora della nanna, un feudatario congiuri contro il reggente e tenti di avvelenarlo con del bromuro di sodio. I contadini e gli schiavi ne approfittano per imbracciare i forconi e chiedere a gran voce più diritti; anche gli animali da traino sono in visibilio. Ma la congiura è presto sventata, seguono condanne sommarie e durissime repressioni. L’attenzione è volta altrove: fervono i preparativi per le crociate. Le maestre stanno a guardare e non intervengono. La loro è una chiara scelta educativa: i bambini, un domani, non faticheranno a trovare il loro posto nella società.
L’alimentazione è tenuta in gran conto, alla scuola Stornamer. I bambini verranno fin da subito abituati a mangiare in autonomia, il che è un bell’insegnamento in questa società che tende, per così dire, a imboccarli ogni volta. Spesso dovranno anche procurarsi il cibo da sé: radici, bacche, insetti, piccoli animali del sottobosco; tutto biologico certificato e senza sofisticazione alcuna, non han da temere i genitori più attenti. Il cannibalismo è ammesso, ma solo per cena.
*(Anton Stornamer fu antroposofo, matematico dilettante, telegrafista approssimativo, grande bevitore; e il passato remoto è del tutto fuori luogo poiché, salvo ultimi sviluppi, egli è ancora in vita.)
CAPITOLO 9
Ci sono domande che, come genitore, uno non vorrebbe mai sentirsi fare. In parte perché sono domande difficili e necessitano di una risposta all’altezza, che mostri al fanciullo la retta via senza traumatizzarlo; in parte perché state comprando su internet delle tende per il frigorifero, e non è proprio il momento. Ecco le più comuni:
– Mamma, perché gli uomini fanno la guerra?
– Cosa vuol dire “può contenere tracce di soia e frutta a guscio”?
– Posso fare l’Erasmus nella Fossa delle Marianne?
– Hai mai mangiato un australopiteco?
– Ma i celiaci sognano focacce elettriche?
– Come nascono i bambini?
Se le prime possono essere semplicemente ignorate, voltando la testa dall’altra parte o alzando il volume dello stereo, l’ultima merita di essere affrontata con calma. Prendete vostro figlio sulle ginocchia, e spiegategli come funziona il grande miracolo della vita.
– Caro Antonio… anzi, caro Nino. Posso chiamarti Nino? Sì, sei mio figlio e decido io, ti pare? Caro Nino, immagina una bella apina gialla e nera che vola nel prato. È primavera e molti fiori sono sbocciati, punteggiando l’erba di mille colori. L’apina è giovane e piena di energie, e si posa su tutti i fiori. Ogni giorno un fiore diverso: oggi uno blu, domani uno rosso, e così via. Insomma, se la spassa alla grande. Il padre un giorno la prende da parte e le dice: “Oh, va bè che sei un’apina, però datti una regolata!” Ma niente da fare, lei continua imperterrita e non pensa al futuro.
Passano gli anni e l’apina non è più tanto giovane, benché si vesta ancora come un’adolescente. Si decide infine a mettere la testa a posto, ma ha ormai una certa età, e la sua fama non è delle migliori. Quando i fiori la vedono avvicinarsi, con i leggings e il trucco eccessivo, si scostano. Lei è triste è rimpiange il passato: vorrebbe un bambino. Un bell’apino da coccolare, insomma. Ma ora io ti chiedo: secondo te vuole veramente una prole? Il suo istinto materno può dirsi genuino? Oppure i figli sarebbero soltanto il mezzo per compensare la frustrazione di una vita vuota e disgraziata?
Comunque gli anni non si fermano ad aspettarla e corrono veloci. L’apina diventa sempre più triste, ma di una tristezza che non ispira alcuna compassione, tanto è l’aceto con cui la condisce. I fiori sono ormai un ricordo lontano, e ora gli apini le danno grandemente sui nervi. Non perde occasione per sgridarli quando giocano a pallone in cortile, o vanno con la bicicletta sui marciapiedi. “Per fortuna che non mi sono sposata!” dice alle amiche, mentre bevono il tè con il miele e parlano male di una giovane coppia, “Meglio soli che male accompagnati.” Eppure si è comprata un cane, e la notte si rigira nel letto. –
Ora tu, caro Nino, mi dirai: – Ma cosa c’entra tutto questo con la mia domanda?
– Niente, è vero. Ma ora va’ a giocare in cortile, che devo comprare le tende per il frigorifero. –
CAPITOLO 10
Alcune notti fa sento squillare il telefono di casa. Non avendo figli, mi giro dall’altra parte e cerco di riaddormentarmi, ma quello continua finché non mi alzo e rispondo. È una mamma di Sondrio in lacrime che chiede consiglio. Mi immaginavo.
– Sono disperata dottore, non so più cosa fare. Mio figlio sta attraversando un brutto momento.
– Guardi, intanto non sono dottore; quest’anno prendo il diploma di ragioneria, ma solo se recupero matematica. Comunque sia, perché mi sta chiamando a quest’ora? Non poteva aspettare domani?
– Ha ragione dottore, ma mio marito lavora in una miniera di asbesto sull’Adamello. Non vedendo mai la luce del sole, il suo ciclo circadiano è completamente sballato, capisce? Ho appena finito di preparargli il cenone di Natale, e fin che mi cuoce il tacchino l’ho chiamata.
– Incredibile, non pensavo che si sfasassero anche i mesi: siamo ad aprile… Comunque, mi dica signora, qual è il problema con suo figlio?
– Paolo, così si chiama, ha 14 anni ed è appena entrato nell’adolescenza. Immagino che questo possa essere un periodo di grande confusione, soprattutto per quanto riguarda l’identità. Un ragazzo della sua età inizia a scoprire il mondo, a scoprire se stesso, e il proprio orientamento. Non è un’epoca facile per i giovani; sono confusi e questa società fa di tutto per confonderli maggiormente. Capisce cosa intendo?
– Senta, tutte queste fesserie le lasci dire a me, per favore. Se va dal medico, non ci va con la diagnosi già pronta, o sbaglio? Dunque, qual è effettivamente il problema? Sta cercando di dirmi che suo figlio le ha confidato di essere omosessuale?
– Anche a ripensarci mi tornano le lacrime…
– Allora signora, mi spiega o devo mettere giù?
– No, no, mi scusi, ora le spiego. Qualche giorno fa è tornato a casa dicendo che gli piace una sua compagna di classe. All’inizio pensavo scherzasse, ma lui ha insistito. Allora ho iniziato a insospettirmi e ho voluto approfondire la questione: “Paolino mio, mi stai forse dicendo che ti piacciono solo le femmine?” E lui: “Sì mamma, dei maschi sono amico, ma non ne sono attratto.” Allora ho cercato di spiegargli che l’adolescenza è un periodo in cui è normale essere confusi, e che con il tempo le cose diventano più chiare, e che anche l’orientamento può maturare.
“Ma sei davvero sicuro? Gli uomini non ti piacciono neanche un pochino? Almeno un pochino!” La sua risposta mi risuona ancora nella testa: “Mamma, no! Mi dispiace, sono eterosessuale.” Al che mi sono arrabbiata. Forse non avrei dovuto, ma ho alzato la voce: “Siamo tutti almeno un po’ omosessuali! È assurdo sostenere il contrario, è da retrogradi e da razzisti.” E sa cosa ha avuto il coraggio di rispondere lui? “Mamma, ti prego, non mi giudicare. Voglio soltanto essere libero di amare chi preferisco. Non è colpa mia se sono così, cosa ci posso fare? E poi scusa, ma cosa centra il razzismo adesso?” Io: “Come cosa c’entra? La ragazza di cui dici di essere innamorato, non è forse caucasica come te? Già che ti piacciono le donne, almeno potevi scegliertene una di colore, no?”
Anche suo padre ha provato a parlargli, ma non è servito a nulla… Non so, forse siamo di un’altra generazione e non capiamo. I tempi cambiano, le persone anche. È che non è facile per un genitore, almeno all’inizio, accettare una cosa del genere.
Comunque ora devo proprio andare, è pronto il tacchino. La ringrazio dottore, forse avevo soltanto bisogno di confidarmi con un esperto. Buona giornata e in bocca al lupo per la maturità. –
Molti anni più tardi, Paolo vive con la sua compagna e ha due figli. La madre ha accettato la situazione e ha finalmente fatto pace con lui e con se stessa. Ha anche fondato un gruppo di ascolto per genitori che si trovano ad affrontare le stesse difficoltà. Dopotutto, ognuno è libero di amare chi vuole. Eppure, alle volte, di notte si sveglia ancora. Ma è il marito che rientra e sbatte la porta.
CAPITOLO 11
Con l’arrivo dell’estate e la chiusura delle scuole, è giunto il momento di pensare alle vacanze. Quale occasione migliore per viaggiare, scoprire posti incantevoli, conoscere persone, fare nuove esperienze? Purtroppo, prima di dedicarsi a tutto ciò, è necessario trovare una sistemazione per vostro figlio/i. Vi siete già liberati del gatto, legandolo alla sbarra del casello 15 all’imbocco dell’Autosole; i due pastori tedeschi invece verranno con voi, alloggiati nel baule insieme alle valigie. Ma i figli? Prima di iniziare a cercare un posto per loro, è preferibile conoscerne il numero esatto. (e.g. Se il numero di figli è 0, non ne vale neanche la pena). Ecco alcune delle soluzioni consigliate:
– Vacanza a tema, dai 4 ai 15 anni, min. 5 settimane, Giza. Il tema dell’anno corrente sarà: “Le piramidi nell’antico Egitto”. I bambini, dopo una breve introduzione e alcuni giochi per formare il gruppo, verranno vestiti da schiavi e inizieranno l’edificazione di una piramide. I genitori non si preoccupino: l’accuratezza storica sarà assoluta. Quando la piramide sarà pronta (150 metri di altezza, per un totale di oltre 7 milioni di tonnellate di granito), i bambini verranno rinchiusi nella camera mortuaria insieme al faraone. Si consiglia di portare un paio di scarpe comode.
– Campo estivo nel monastero delle suore di clausura del Gennargentu; permanenza minima: 6 mesi. Sveglia alle 4 di mattina: colazione a base di foglie di alloro e grappa. Dalle 4:30 fino all’ora di pranzo: traduzione dei manoscritti di Girolamo Savonarola dal latino al sardo. Ore 12: pranzo (digiuno). Durante il pomeriggio i ragazzi vengono lasciati liberi di scoprire la loro spiritualità, pregare, meditare e leggere le opere di Alberoni. Ore 18: cena a base di foglie di alloro e grappa. A seguire: canti gregoriani, ritiro nella cella e coprifuoco. Fine settimana: visita guidata ad un pozzo artesiano abusivo.
– Vacanza budget “L’Asia in un pomeriggio”, 0–99 anni. I partecipanti verranno caricati nella stiva di un aereo merci (imbarco: Orio al Serio BG, ore 14:45). Il velivolo sorvolerà a bassa quota i principali punti d’interesse del continente asiatico; non sono previsti scali. Dalle fessure della stiva sarà possibile ammirare la natura incontaminata del Nepal, le magnifiche città giapponesi, la casa di Gandhi, e molto altro ancora. Può capitare che la contraerea cinese dia problemi a causa del volo a bassa quota, ma di solito tutto si risolve a tarallucci di riso e sakè. L’equipaggio viene comunque internato in un carcere sull’isola di Xugong e processato dalla corte marziale. Rientro previsto in serata.
CAPITOLO 12
Se il trattare i bambini come fossero cani è pratica ben nota e poco interessante, volgiamo per un istante la nostra attenzione al fenomeno opposto: il trattare i cani come fossero creature perfettamente senzienti.
Alcuni giorni fa, cercando qualche ora di svago nelle prime giornate primaverili, leggevo un libro standomene tranquillamente seduto al parco. All’improvviso una voce acutissima e appena meno piacevole di una sirena antiaerea mi giunse prepotentemente all’orecchio. Era una voce, sia detto senza che alcuno s’offenda, femminile e piuttosto fastidiosa. Nonostante fosse primavera, mi parve di vedere alcuni fiori appassire velocemente per poi cadere a terra secchi. Quel martellio auricolare proseguì per alcuni minuti senza la minima variazione: – Andrea… Andrea… Andrea… –
Al che molti degli astanti, me compreso, si interrogarono sull’identità di questo misterioso Andrea. “Sarà un bambino, magari il nipote? O che sia forse una femmina? Magari, poverina, è sorda e non sente… La nonna l’ha chiamata tanto spesso da averle consumato la membrana esterna del timpano.” Quand’ecco che da dietro un albero sbuca un piccolo cane, per nulla turbato e senza mostrare la minima intenzione di rispondere al richiamo. Mentre la padrona, che ora l’ha visto, continua inalterato il suo ritmico lamentio, quello prosegue indisturbato il suo cagneggiare: cammina senza meta nell’erba, si ferma un istante, raccoglie un legnetto, lo risputa poco più in là.
L’incredibile dedizione con cui il cane ignorava il padrone, era inferiore soltanto alla dedizione del padrone nel chiamare il cane. Eppure fu la conversazione che seguì, se conversazione si può definire, che mi fece sorridere.
– Andrea, ora basta! È ben giunto il momento di finirla con i tuoi giochetti. Ti ho già detto più volte che è ora di tornare a casa, ma tu non mi ascolti. Non mi ascolti mai. Mi par sempre di parlar con i sassi. Quando è troppo, è troppo. – E nel dire ciò, assestò sul muso del cane due schiaffoni che, confesso, non mi sarei aspettato di veder tirati da una donnetta del genere.
Credo che dare ad un cane il nome “Andrea”, sia tanto fuori luogo quanto chiamare “cane” un qualsiasi tale di nome Andrea. Ma torniamo al nostro eroe: gli vien messo il suo cappottino e vien trascinato verso casa, mentre la padrona gli rimprovera in mille modi il comportamento scorretto, spregevole, immaturo. – Ma tu non ti vergogni proprio mai, Andrea? – chiede con voce lamentosa; e dato che la domanda non trova immediata risposta, viene reiterata per molti chilometri. Andrea resta muto, si lascia trascinare senza opporsi, probabilmente ha anche smesso di ascoltare.
Ad un certo punto riprende a camminare sulle sue gambe e trotterella via. Finché una voce ben nota non l’interrompe di nuovo: – Imbecille, non vedi che è rosso? Quante volte te l’ho già spiegato! E mi puoi guardare in faccia mentre ti parlo? – Il tutto, com’è giusto, condito da una manica di calci ben assestati. Il cane scuote la coda, probabilmente vorrebbe scuotere la testa.
Più avanti incontrano la signora Francesca, al che la padrona lo prende subito in braccio e comincia a fare mille moine e a baciarlo sul muso: – Il mio piccolo Andrea, tutto mio, mio! Bello lui, bellino cagnolino! Saluta la Francesca, salutala ho detto! Niente, oggi non è proprio giornata… – e lo lascia cadere sul marciapiede.
Giunti a casa, un piccolo monolocale senza balcone, non ha ancora perso il fiato: – Ma non vedi che siamo arrivati? Perché non ti togli il cappotto, allora? Cosa sei, un corallo? – Ma niente da fare, il cane non collabora. – Sono stufa di questo comportamento. Non sei più un bambino, lo vuoi capire o no? Io, ad andare avanti così, impazzisco. Ma chi me l’ha fatto fare di comprare un cane? Non potevo fare un figlio? –
Dopo una cena a base di spaghetti alle vongole mangiata dallo stesso piatto, vanno a letto senza proferire parola. Gli animi sono ancora accesi e probabilmente nessuno dei due ha voglia di parlare.
La mattina seguente risuona nel palazzo una voce: – Andrea… Andrea… Andrea… Dove ti sei cacciato? Ti ho perdonato per ieri, ma ora vieni, non farmi arrabbiare di nuovo. Vieni, che oggi ti devo portare dal parrucchiere dei cani. Dove sei? Dove sei, figlio mio? –
Sul tavolino della cucina c’è un biglietto. “Addio” dice. È chiaramente la calligrafia di un canide.