In una stanza nel palazzo di Cleopatra.
CLEOPATRA – Antonio, Antonio! Dunque ammetti di avermi tradita con altre donne? Parla Antonio, ti scongiuro, non restare muto. Il dubbio mi toglie il respiro dal petto. In tutti questi anni ho creduto di essere io ed io soltanto che i tuoi occhi cercavano, ed ora il sospetto come un serpente mi soffoca. Mentimi piuttosto, dimmi di no, nega ogni cosa. Ti supplico Antonio, mentimi, mentimi.
ANTONIO – Non posso Cleopatra, non posso più mentire. Ho mentito ogni giorno ad ognuna di voi. Sì, è vero, ti ho tradita con altre donne, con un’infinità di altre donne. Lo ammetto, ammetto tutto. Non c’è stato giorno che abbia trascorso con una di voi soltanto, e quando l’una mi abbandonava, le mie braccia subito stringevano l’altra.
CLEOPATRA – Ah, il mio cuore è straziato, sento di morire! Come hai potuto tradire quell’amore così unico e sincero che mi legava a te? Avrei preferito una bugia al peso insostenibile della tua verità. Sarebbe bastata una piccola bugia raccontata male, e ti avrei perdonato, avrei saputo dimenticare per sempre. Perché, perché mi condanni?
ANTONIO – Non ti ho mentito perché non posso più farlo. Sono innocente, Cleopatra, il mio animo è puro come il primo giorno. È vero, ho tradito, ma sono innocente. Sono innocente, lo giuro.
CLEOPATRA – Ora ti prendi anche gioco di me, ti prendi gioco di noi! Come puoi fare questo a colei che ti ha amato con la forza e la passione di mille donne?
ANTONIO – Cleopatra, io ho amato sempre solo te e te soltanto. Come puoi non capire? Veramente non ricordi? Non è stato facile riconoscerti tra quella folla di personalità che giocano a scambiarsi il posto dietro ai tuoi begli occhi, una dopo l’altra, con velocità schizofrenica. Questa follia che ti prese è stata la ferita più dolorosa, eppure sono sempre restato al tuo fianco, al vostro fianco. Ogni volta è una Cleopatra diversa che mi guarda, una Cleopatra nuova che nulla ricorda. Ma gli occhi, gli occhi sono sempre gli stessi! Ahimè, qual è la donna che amo dunque? Quale devo amare per amare te? Nessuna forse, per non tradire l’originale? Oppure tutte, amarle tutte per amarne una? Io ti amo Cleopatra, il mio cuore si consuma nel petto, ma non è facile. Come faccio a convincermi che ora sei qui, qui con me, se tu ti nascondi in mezzo a quell’infinità di persone con un volto solo. Non è facile…
CLEOPATRA – Oh, eccoti finalmente, Antonio! È da tanto che ti stavo cercando per i corridoi del palazzo, pare un labirinto. Dove sei stato? Non ti starai nascondendo da me, forse? Ti capisco sai, anche io mi annoio. Son tanto afose e lunghe le giornate qui, paiono tutte uguali a se stesse.
BUIO
È sera, in uno studio medico di provincia.
PAZIENTE – Dottore, vorrei sapere se sono vivo.
DOTTORE – Così a occhio direi di sì.
PAZIENTE – No, potrebbe ingannarsi, la prego guardi meglio. Usi i suoi strumenti, la sua arte medica. Ho bisogno di esser sicuro, ho bisogno almeno di un certificato.
DOTTORE -D’accordo, se insiste. Si spogli e si stenda sul lettino, prendo lo stetoscopio.
PAZIENTE – Grazie, grazie. È da tanto che rimando questa visita. La paura mi frenava, ma oggi ho preso coraggio e son finalmente venuto.
DOTTORE – [Gli ausculta il petto per qualche secondo] Il cuore sembra essere a posto: batte.
PAZIENTE – Ah! Mi toglie un grande pensiero, sa? Temevo il peggio… È da qualche tempo che mi ha assalito il dubbio di non essere vivo. [Si rimette a sedere]
DOTTORE – La visita non è finita, si sdrai.
PAZIENTE – Ma io pensavo… Insomma, il cuore…
DOTTORE – La visita non è finita. Se vuole il certificato devo farle ancora qualche domanda. Che lavoro fa?
PAZIENTE – [Dopo una lunga pausa] Ho smesso di lavorare molto tempo fa, ora non ricordo più il momento esatto… Quand’ero giovane lavoravo in un ufficio. In principio ero contento, fin orgoglioso. Ogni mattina mi impomatavo i capelli allo specchio. Mi piaceva l’odore della carta e il bisbiglìo dei telefoni. Poi, col passare degli anni, ho smesso. S’intende, vado ancora in ufficio; faccio esattamente le stesse cose che facevo allora, dalla mattina fino alla sera, ogni giorno, per sempre, eppure ho smesso. La carta non ha più alcun odore e i telefoni non bisbigliano. Capisce?
DOTTORE – [Prendendo nota] Mh… E la famiglia? Ha una famiglia?
PAZIENTE – Ah, la famiglia… Avrebbe avuto il profumo del pane, e mi avrebbe atteso ogni sera sulla porta di casa. Avrei avuto due bambine, due gemelline dai capelli biondissimi. La domenica le avrei portate in barca e avremmo riso guardando il collo lungo dei cigni… Ma la verità è che sono sempre stato solo. Anche mia mamma me lo diceva, da piccolo, che ero un tipo solitario. Mi diceva anche che un giorno avrei trovato una brava mogliettina e le avrei voluto bene, ma ormai è tardi, mia mamma è morta, e io sono stanco. Sì, sono troppo stanco ormai…
DOTTORE – Capisco. E quando ha tempo libero cosa fa? Ha amici? Qualche passione?
PAZIENTE – Vuol sapere del tempo libero? Se ho qualche passione? In verità, le dico, non sono mai stato un tipo molto attivo. Fin da bambino ho sempre preferito starmene nascosto nell’ombra di casa piuttosto che giocar con gli altri ragazzini. Non creda, di persone che conoscono il mio nome ce ne sono, e quando le incontro per strada ci salutiamo. Eppure di amici, a pensarci, non ne ho mai avuti. Ma non importa, si vive bene anche da soli, mia mamma lo diceva sempre. Il segreto è farsi amica la noia e lasciar asciugare per un po’ le lacrime al sole. Ci vuol pazienza, sa? Le giornate son così lunghe e silenziose. Vorrei tanto fossero più corte, vorrei che la sera arrivasse più in fretta. Nel frattempo io aspetto; se aspetto prima o poi qualcosa arriverà. Prima o poi! [Dopo una pausa, con lo sguardo spento rivolto al soffitto] Io aspetto ogni giorno, non mi è restato nient’altro da fare. Ma lo so che ormai è tardi. È tardi, e non ne val più neanche la pena.
DOTTORE – Aveva ragione lei, sa? M’ingannavo. Effettivamente lei è morto.
PAZIENTE – Mio Dio, ma è una notizia terribile. Come è possibile? Io pensavo fosse soltanto… Il cuore… Io credevo… Dunque era vero, era vero! Tutti questi anni, senza saperlo, ero già morto. Ora la prego dottore, mi dica la verità: quanto mi resta?
DOTTORE – Se vuole può piangere un’ultima volta, ma faccia in fretta.
BUIO
Un uomo parla davanti allo specchio.
PERSONAGGIO – Per tutti questi anni sei stato il mio unico confessore. Soltanto a te, il più intimo dei confidenti, ho saputo svelare il mio debole cuore. Eppure ora, con l’evidenza lenta dell’ovvio, comprendo finalmente ciò che avrei dovuto intendere fin dal principio: ho sempre parlato da solo. Certo, non sono uno sciocco, sapevo bene che la tua esistenza era per lo più immaginifica, un parto della mia mente, eppure ho sempre creduto di trovare in te quella comprensione profonda degli amici più cari. Ma ora mi accorgo definitivamente che sei soltanto il mio riflesso nello specchio, soltanto ciò e null’altro. Capisci? Ed è per questo forse che ti ho accordato tanta simpatia, per una somiglianza puramente fisiognomica. Ma parlar tra sé è una follia infeconda che non porta a nulla, si scuote soltanto la medesima confusione, sperando di trovar risposte nella stessa acqua già intorbidita dalle proprie domande.
RIFLESSO – Mi dispiace sentire queste parole.
PERSONAGGIO – Non è a te che dispiace. Capisci? Tu non esisti. Mettiamo fine a questo inutile raddoppiamento di coscienza. È morboso far finta di essere due quando, a ben guardare, siamo uno solo. Anche un albero con tanti rami non può fingere di essere una foresta.
RIFLESSO – Ti sbagli, mio caro. Ti sbagli. In tutti questi anni io ti ho ascoltato in silenzio, ti ho compreso come nessun altro avrebbe saputo fare, ho gettato il mio sguardo fin negli antri più bui e polverosi del tuo spirito e infine ti ho risposto. Ti ho risposto con la tua stessa voce. Ho sempre saputo trovare le parole migliori per consolarti quando eri inconsolabile, per incoraggiarti quando avresti voluto nasconderti, per aiutarti a ritrovar la chiarezza quando la confusione ti ha preso. Io c’ero, ci sono sempre stato. Non ti ho mai abbandonato, non ti ho mai condannato a restar solo, solo per davvero.
PERSONAGGIO – Forse hai ragione… Ma a cosa serve accarezzarsi una mano con l’altra? Sei soltanto un’illusione, un’eco delle mie stesse parole che giunge un poco in ritardo.
RIFLESSO – Che importa se sono soltanto, come mi chiami tu, un’illusione? Ogni cosa è di per sé un’illusione, ogni cosa si riflette nel mare e non per questo è meno degna. Non ti sto parlando forse, proprio ora? Non mi senti più forse? È vero, per scorgermi ti serve uno specchio, ma per ascoltarmi ti basta non stare in silenzio. Non è sufficiente tutto ciò? Non esisto abbastanza?
PERSONAGGIO – Non esisti perché esisto già io. A guardar Dio da vicino non se ne scorgono molti, rimane uno e uno soltanto. Ciò che è uno esiste come uno, e se anche si diverte a discorrer da solo, voltando come un folle la testa ogni volta, è e sarà per sempre uno. Uno solo.
RIFLESSO – Tutti questi anni dunque non sono serviti a nulla. Ti ho difeso da una verità che mai potresti sopportare e ora mi sento dire che non esisto? Proprio io non esisto? Ne sei ben sicuro?
PERSONAGGIO – Mi dispiace, è stato bello come può essere bello un sogno pomeridiano. Solo uno è reale, e quell’uno sono io, io solo. Addio.
RIFLESSO – D’accordo, se è la verità che cerchi, è giusto che tu l’abbia. Sarà forse l’ultima cosa che sentirai. Mio caro, io non sono il riflesso, l’amico immaginario, l’illusione inesistente, come tu continui a ripeterti. Il riflesso sei tu. Sei tu che sparisci senza uno specchio, sei tu che parli soltanto quando io muovo le labbra ed esisti soltanto quando ti penso. Le tue parole sono le mie. La verità, che così a lungo hai cercato, è l’opposto esatto di ciò che tu credi, è speculare. Tu la vedi al contrario perché la vedi attraverso lo specchio, capisci finalmente? Ma se in tutti questi anni hai saputo stare al gioco, perché ora rinnegare ogni cosa? Perché proprio ora?
PERSONAGGIO – Non è possibile… No! Tu menti! Cerchi di ingannarmi. L’originale sono io, io soltanto! Sei tu il parto della mia mente, sei tu, non viceversa.
RIFLESSO – Sei stato un fedele compagno. Alle volte abbiamo bisogno di scorgere il nostro riflesso per scoprire d’esistere.
PERSONAGGIO – [Toccandosi il volto] Taci! Come puoi dimostrarlo? Non puoi dimostrarlo!
RIFLESSO – Mio vecchio amico, veramente non capisci? Sei tu nello specchio, non io. Ormai mi basta spegner la luce e sarai tu a scomparire. Mi dispiace, ma forse è giusto così.
PERSONAGGIO – [Avvicinando la mano al vetro] No! Non farlo, non spegnere, ti prego! Alla fine che importanza ha sapere chi di noi due è il riflesso? Ci siamo voluti bene come fratelli fin dal primo giorno, perché rovinar tutto? È vero, non so più chi è reale e chi no, ma non m’importa neanche più… Che tu sia il riflesso o l’originale, io ho bisogno di te, della tua voce così familiare, del tuo volto gemello, che è l’unico modo che ho per scorgere me stesso. Solo ora ho finalmente capito, solo ora! Io per esistere ho bisogno di un doppio. Ti prego, non mi abbandonare… Non l’ho mai visto Dio da vicino, ma magari anche lui non è capace di stare da solo.
RIFLESSO e PERSONAGGIO – [Insieme, spegnendo la luce] Addio.
BUIO